Salviamo la ricerca dal doping della bibliometria

misurazione

Ha fatto scalpore l’inchiesta de Il manifesto sulle ricerche scientifiche del Ministro della Salute, Orazio Schillaci, che ha reciclato alcune immagini per dimostrare l’esito delle sue analisi, inchiesta confermata dalla rivista Science.

Il caso è emblematico di una crisi morale e scientifica della ricerca, legata alla tirannica ossessione della misurazione bibliometrica di ANVUR.
La reputazione e la carriera di un docente e/o di un ricercatore si basa di fatto, secondo l’ANVUR, sul numero di pubblicazioni e sulla risonanza (ovvero sulle citazioni) che quella ricerca ha in ambito accademico.

Questa corsa alla pubblicazione, sintetizza Giuseppe De Nicolao, mina la deontologia stessa e la credibilità della ricerca e del ricercatore, soprattutto che la media di pubblicazioni per il ministro Schillaci è di una pubblicazione ogni 12 giorni!

In buona sostanza, il sistema premia chi pubblica e viene citato di più, il che, soprattutto tra i precari, può voler dire firmare un ingente quantitativo di ricerche solo per vedere il proprio contratto rinnovato. Nel caso degli studiosi più blasonati (e garantiti), come lo stesso Schillaci – che prima di diventare ministro era rettore a Tor Vergata – la necessità di pubblicare e di farsi citare serve a tenere la posizione, a confermare il proprio status all’interno della comunità scientifica.

Ma c’è di più. Il pericolo è da sviluppare lungo una linea soggettiva ed un’altra oggettiva:

1- un ricercatore implicato in un simile affaire vede crollare tutta la sua reputazione: cosa dovremmo pensare adesso dei numerosi articoli pubblicati dal ministro Schillaci? C’è da fidarsi?

2- l’intero mondo della ricerca, almeno in quel campo, proprio per il fitto radicarmento di richiami all’interno della cerchia dei lettori (e fruitori) delle ricerche di Schillaci è messo a dura prova.

«Questa produzione ipertrofica di studi – prosegue De Nicolao – droga le statistiche verso l’alto. Così abbiamo una letteratura scientifica ma dal valore discutibile, con i ricercatori costretti a correre come criceti sulle ruote».

La soluzione per uscire da questo che non è solo uno psicodramma, ma un pesante velo calato su tutta la serietà della comunità scientifica, è uscire dalla furia della pubblicazione definita dal sistema bibliometrico e di accreditamento dei ricercatori/professori, per restituire alla ricerca spazi di creatività più distesi e meno stressati da questo sistema competitivo.

La conclusione, per De Nicolao, tocca le responsabilità personali di ciascuno scienziato: «La reputazione non si può misurare con dei numeri. Sulla questione Schillaci il punto è che in una comunità scientifica seria, chi si ritrova coinvolto in una storia del genere dovrebbe sentirsi distrutto: avrebbe perso tutta la sua credibilità e il suo laboratorio risulterebbe squalificato».

Nessuno dovrebbe fidarsi più di chi fa ricerca in questa maniera? «In teoria dovrebbe essere così – chiude De Nicolao -, ma in Italia ovviamente questo non conta».

–> Leggi La corsa alla pubblicazione che distrugge la deontologia (Il Manifesto)


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