Siamo tutti preoccupati, oggi, della qualità del lavoro, della sostenibilità del lavoro soprattutto nella conciliazione con la vita personale, dei turni di lavoro, della difficoltà di trovare un lavoro che possa piacere e/o sia coerente con la propria “formazione scolastica”.
Non a caso stiamo attraversando il periodo delle grandi dimissioni, proprio perché lavorare oggi più che ieri è diventato complesso, faticoso, scoraggiante. Il lavoro come fine non è mai stato una prospettiva allettante, ma oggi, con i ritmi elevati ed i salari quasi sempre inadeguati, diventa ancora più problematico entrare e rimanere nel mondo di lavoro.
Il “posto fisso” non è più un obiettivo appetibile, perché lo spirito del capitalismo ha frantumato il mondo del lavoro, l’ha precarizzato, ci ha convinti della necessità di un lavoro fluido (e via di partite iva, lavoro a chiamata, lavoro occasionale).
Se è vero che molti problemi lavorativi sono legati alla distanza fra domanda e richiesta, caratterizzata dalla distanza fra aspettative, spesso di riscatto sociale, e offerta, spesso di lavoro sottopagato, è altrettanto vero che ai problemi del presente si legano indissolubilmente le ansie su come si configurerà il lavoro non tanto di domani, ma di dopodomani.
L’avvento delle innovazioni tecnologiche applicate alla sfera della società, quindi delle relazioni umane, non è più semplicemente una sfida informatica fra programmatori, ma una sfida sociale (quindi politica e filosofica) che attiene in senso più largo ai temi della democrazia stessa.
Se è possibile avere oggi dei software che non si limitano a riprodurre casi studiando milioni di varianti, ma imparano ad imparare creando nuove varianti (come per Alpha Zero, software per il gioco degli scacchi sviluppato da Google DeepMind che soppianta pericolosamente Stockfish, biblioteca informatica di milioni di partite giocate inserite per trovare la mossa migliore ‘umana’ fra quelle catalogate), è evidente che il problema si sposta dalla sostituzione del lavoro alla possibile sostituzione della concezione stessa del lavoro e, in definitiva, della società.
ChatGpt, benché ancora alle prime armi ed in fase di sviluppo, potrebbe presto sostituire docenti e studenti stessi: perché non pensare un possibile sviluppo anche in ambito normativo? Possiamo pensare che lasceremo all’intelligenza artificiale (non ad una ‘macchina’ o ad un robot, ma ad un cervello pensante) il compito di scrivere le leggi? di amministrare la giustizia? di definire le linee strategiche e politiche di un’intera nazione?
Chiaramente la prospettiva cambia e, paradossalmente, cambia nella direzione di come gestire e governare questa transizione tecnologica.
Su questo deve discutere e riflettere l’intellighenzia di sinistra, abbandonando il tabù legato esclusivamente al pericolo, reale e concreto, di perdere posti di lavoro perché sostituiti da surrogati tecnologici: il tema oggi è che tipo di società avremo domani, che tipo di lavoro avremo domani.
Direi che quindi la sfida oggi non è pensare il lavoro domani, ma la società di dopodomani dove il lavoro umano rischia di essere residuale da un punto di vista di fatica fisica, tuttavia risulta determinante nel governo del sistema.
Abbiamo sempre creduto che la tecnologia fosse l’opportunità necessaria per migliorare la qualità della vita attraverso scoperte: abbiamo impostato la tecnologia perché favorisse, e l’ha fatto, la ricerca, soprattutto in campo scientifico, dimenticando, o comunque relegando in secondo piano, le implicazioni sociali che l’innovazione tecnologica in sé sta portando. Non è più soltanto un tema di lavoro smart o agile: il nodo riguarda se è possibile pensare una società smart ed agile e a quali costi sociali e democratici. Fino a che punto occorre spingersi.
Sembra la trama di un romanzo di Isaac Asimov, e sicuramente c’è dell’eccesso in queste riflessioni, anche di preoccupazione, però ritengo che non siano più temi ineludibili.
Quindi è corretto investire oggi più che mai sulla formazione e sulla conoscenza per capire come gestire la tecnologia, prima ancora che investire sul lavoro: definiamo prima i contorni e la sostanza della società di dopodomani, il resto è conseguenza.
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